venerdì 16 luglio 2021

TISHA B'AV O PIÙ SEMPLICEMENTE IL 9 DI AV

da sx a dx: 1) La distruzione del Tempio di Gerusalemme, di Francesco Hayez (1867),
tela conservata
 presso Galleria internazionale d'arte moderna, Venezia; 
2) Affresco Cattolica di Stilo con  l'ebreo dalle mani tagliate e la rotella, simbolo distintivo giudaico a ricordo della  diaspora dopo la cacciata degli ebrei dopo l'editto dell'Alhambra.


« La Mia Casa sarà una Casa di preghiera per tutte le Nazioni »   (Isaia 56.7)


Dal 27 Giugno-18 Luglio 2021 ricorrono le Tre Settimane e il 9 di Av; il periodo di 21 giorni tra il 17 tamuz e il 9 di Av è ricordato come ben hametzarìm; questa definizione è basata sul versetto di Meghillat Echa (1,3): "Giuda è andato in esilio per la miseria e per la troppo pesante schiavitù, esso è tra le genti, non trova requie, tutti i suoi persecutori l’hanno colto tra le angustie (ben hametzarìm)." I Saggi (Echà Rabbati) spiegano che tra le angustie si riferisce ai giorni di afflizione che il popolo ebbe a subire nel periodo intercorso tra quelle due date, pur attraverso le generazioni.
Domenica 18 luglio 2021 per il calendario ebraico è Tisha b'Av o Tisha BeAv (in ebraico: תשעה באב o ט׳ באב), o più semplicemente 9 di Av, è un giorno di lutto e digiuno nel calendario religioso luni-solare del Giudaismo che può cadere a luglio o agosto, quest’anno è capitato a luglio.  Il suo nome denota il nono giorno Tisha del mese giudaico di Av. Il giorno è stato chiamato il "più triste giorno nella storia ebraica". Quando, come quest'anno,  il giorno nove di Av coincide con il Sabato (Shabbat), l'osservanza del digiuno avviene dal tramonto del Sabato alla Domenica del dieci del mese di Av, anche se si riferisce al giorno con lo stesso nome di Tisha B'Av;  non essendo permesso digiunare durante il giorno del Sabato (Shabbat) per preservare la gioia e la santità del giorno, tutti i digiuni vengono spostati al giorno successivo ad esclusione del digiuno di Yom Kippur.
Come a Yom Kippur, si osserva un digiuno completo senza cibo e bibite. I ventuno giorni, che trascorrono dal digiuno del 17 Tamuz, sono chiamatiben ha mezzarim" – fra le strettoie, in quanto essi culminano con il digiuno del 9 di Av, considerato il culmine del lutto, in seno al popolo ebraico. 
Tisha b'Av è un giorno di lutto e digiuno, definito il “più triste della storia ebraica”, poiché ricorda gli eventi tristi della distruzione del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme e altre gravi sventure della storia ebraica, come la cacciata degli ebrei dalla Spagna dopo l'editto dell'Alhambra. 
Terza ed ultima pagina del'editto dell'Alhambra
della copia conservata negli archivi della città 
di Ávila, unica rimasta in forma manoscritta.


Il digiuno dura circa 25 ore dal tramonto del sole della vigilia, ottavo giorno, all'apparizione delle tre stelle il giorno successivo. Il 9 di Av non s'indossano scarpe di pelle o cuoio, non vengono effettuati festeggiamenti, non s’intrattengono rapporti coniugali né si manifestano manifestazioni di affetto, non ci si lava, ad esclusione delle mani, né si usano unguenti. Si legge il Libro delle Lamentazioni e altri brani dei libri sacri in cui si fa riferimento al lutto, non si studia la Torah perché ciò è gioia, per il popolo ebraico, e si deve evitare ogni forma della stessa.

NELLO SPECIFICO 
 
NEL POMERIGGIO DELL'8 DI AV:
 
è proibito  studiare Torah, tranne il materiale che riguarda la distruzione del Tempio o altri avvenimenti tristi, inizia a mezzogiorno della vigilia del digiuno. Tranne qualche eccezione, la proibizione vige fino alla fine del digiuno.
Non si dice Tachanùn, la preghiera penitenziale nel pomeriggio nè durante tutte le preghiere del 9 di Av.
Poco prima dell’inizio del digiuno si mangia la seudà mafseket, il pasto separatorio. È un pasto semplice, molti usano mangiare zuppe di lenticchie o verdure seguito da un pezzo di pane e un uovo sodo intinto in cenere, un simbolo di lutto. Il pasto più lauto si mangia verso l'ora di pranzo se possibile. Non si fa zimmùn quando si recita la Birkat Hamazòn.
 
LE LEGGI DEL 9 DI AV INIZIANO AL TRAMONTO

SERA DEL 9 DI AV:

in sinagoga si toglie la tenda dall’Arca e si abbassano o spengono le luci. Dopo la preghiera serale di Arvìt, si legge il libro di Echà, Lamentazioni. Il chazzan, cantore, legge ad alta voce mentre la congregazione legge a bassa voce. In alcune comunità il chazzan legge Echà da una pergamena.
Si usa anche tenere una candela accesa.
In seguito si leggono alcune kinòt, elegie e il paragrafo ‘veAttà kadòsh’, seguito dal kaddìsh, tranne il paragrafo che inizia con Titkabel, testo che è omesso anche il mattino dopo.
 
MATTINO DEL 9 DI AV:

Per la Netilat Yadaim del mattino, si versa l'acqua tre volte alternativamente solo sulle nocche, con le dita ancora umide è permesso lavare gli occhi. Non è permesso sciacquare la bocca ne lavare i denti fino a dopo il digiuno.
Non indossando scarpe di pelle in questo giorno, non si recita la benedizione mattutina “Che Ha provveduto per tutte le mie necessità”, poiché essa ringrazia D-o soprattutto per averci dato scarpe. Non s’indossano il Tallit e i Tefillìn durante la preghiera del mattino di Shachrìt. Questo perché i Tefillìn sono considerati ‘la nostra gloria’ e nel giorno del 9 di Av la nostra gloria è assente. Gli Tzitzìt invece si indossano durante tutta la giornata.
Coloro che seguono la tradizione Sefardita aggiungono il paragrafo Anenu all’Amidà. Non si recita la benedizione sacerdotale nella ripetizione dell’Amidà.
Si legge il Sefer nel libro di Devarìm (4,25-40), brano che parla della distruzione della Terra d’Israele.
La Haftarà dei profeti è del libro di Geremia che parla anche esso della distruzione.
Dopo la preghiera del mattino è usanza leggere le Kinòt, elegie. Si conclude la preghiera con ‘Uvà letziòn’, omettendo la seconda frase: “e questo è il Mio patto”,  e Alenu leShabeach. Non si dice Shir shel yom e en Ke’Elokenu.
È permesso lavorare di Tishà b’Av ma è preferibile non lavorare. In questo giorno ci si dovrebbe focalizzare sul lutto e il pentimento. Se è necessario lavorare per forza, è preferibile iniziare dopo mezzogiorno Halachiche.
È usanza dare Tzedakà in più nei giorni di digiuno.
 
POMERIGGIO DEL 9 DI AV:

è usanza aspettare fino a mezzogiorno,orario halachico, per iniziare a preparare il cibo post digiuno. L’intensità del digiuno diminuisce nel pomeriggio, pertanto è permesso cucinare e sedersi su sedie e panchine di altezza normale.
Molte comunità hanno l’usanza di pulire la casa e lavare per terra dopo mezzogiorno, come segno di attesa per l’arrivo della Redenzione che tutti aspettiamo.
Si rimette la tenda sull’Arca in sinagoga prima della preghiera pomeridiana di Minchà.
Gli uomini indossano Tallit e Tefillìn durante la preghiera pomeridiana di Minchà, prima di iniziare quelle preghiere è usanza dire le preghiere che sono state omesse di mattina.
Si legge il Sefer dal Libro di Esodo 32:11-14 il brano tratta del perdono ottenuto da Moshè per il popolo di Israele dopo l’episodio del vitello d’oro. In seguito si legge la Haftarà da Isaia 55:6-56:8.
Si aggiungono i paragrafi di Nachèm ed Anenu nell’Amidà, olo chi digiuna dice Anenu.
 
DOPO IL 9 DI AV:

Prima di terminare il digiuno si dovrebbe fare la Netilàt Yadaim senza benedizione e versando l’acqua sulla mano intera.
Il Tempio è stato messo a fuoco nel pomeriggio del 9 di Av e bruciò fino al 10; perciò le restrizioni dei Nove Giorni, come l’evitare di mangiare carne, nuotare o lavare i panni, devono essere rispettate fino a mezzogiorno del 10 di Av.
Tuttavia se il digiuno capita di Giovedì, nel qual caso il 10 cade di venerdì, è permesso lavarsi e tagliare i capelli venerdì mattina in onore di Shabbat.





FONTI ICONOGRAFICHE:

La distruzione del Tempio di Gerusalemme, di Francesco Hayez (1867),
tela conservata 
 presso Galleria internazionale d'arte moderna, Venezia in: 

Affresco Cattolica di Stilo con  l'ebreo dalle mani tagliate e la rotella, simbolo distintivo giudaico a ricordo della  diaspora dopo la cacciata degli ebrei dopo l'editto
 dell'Alhambra; 
Terza ed ultima pagina del'editto dell'Alhambra della copia conservata negli archivi della città di Ávila, unica rimasta in forma manoscritta.