giovedì 8 aprile 2021

NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI PRIMO LEVI (31-7-1919/2019) UN RICORDO ESTESO AD ALCUNI AMICI EBREI INCONTRATI IN PIEMONTE

 DI VINCENZO DAVOLI 


Primo Levi
   In occasione del centenario della sua nascita, avvenuta a Torino il 31-7-1919, voglio scrivere un mio personale piccolo ricordo dello scrittore ebreo e chimico torinese, Primo LEVI. Adoperando un po’ arbitrariamente l’aggettivo “felice”, che lo stesso Levi ripeté tre volte nel 1°, nel 6° e nel 7° verso della sua poesia intitolata “APPRODO” io mi ritengo “felice” di aver avuto la fortuna di vivere diversi anni della mia esistenza nella città subalpina dove Primo nacque, visse e morì.   
   Studiando alla facoltà di Ingegneria del Politecnico e risiedendo a Torino per più di 5 lustri, oltre a conoscere lo scrittore attraverso la lettura dei suoi libri ed articoli pubblicati sulla Stampa, ho avuto anche l’opportunità di vederlo sporadicamente da vicino, anche se mai ho avuto modo di parlargli o di scambiare con lui un cenno di saluto. Ricordo comunque con mio grande piacere di averlo intravisto alcune volte, per puro caso, e di aver riconosciuto, tra la gente che passeggiava sotto i portici del centro (via Roma, piazza Carlo Felice, piazza San Carlo, piazza Castello, via Po   …) o tra gli habitués del teatro di prosa, la figura del celebre scrittore, forse accompagnato dalla moglie o da qualche amico. Una sola volta invece l’ho visto intenzionalmente, allor quando Levi partecipò ad una manifestazione pubblica. Nel 1980 oppure nel 1985 lo scrittore fu candidato a consigliere della regione Piemonte, nella lista di Democrazia Proletaria.  Lo vidi allora salire sul palco di un comizio elettorale che doveva presentare la lista dei candidati proposti da Democrazia Proletaria-DP per la circoscrizione di Torino. Mi colpì allora l’atteggiamento discreto e per nulla appariscente dello scrittore, che se ne stava compunto e silenzioso al fianco degli oratori che pronunciavano i loro reboanti discorsi.
Non ho avuto altre occasioni di vedere da vicino o incontrare, anche solo fortuitamente, lo scrittore torinese.
   Subito dopo la sua tragica fine (11-4-1987) venni a scoprire che Primo Levi era nato, vissuto e infine morto nella casa di famiglia sita in corso Re Umberto, quartiere Crocetta di Torino. Per rendere un mio personale, privato omaggio all’amato scrittore, volli andare a vedere l’edificio di corso Re Umberto dove era sita la casa di Levi. Era in una zona di Torino che conoscevo assai bene, anche perché vicina al Politecnico dove io avevo studiato; ed io, accanito tifoso juventino, scoprii che la casa, in cui Primo era sempre vissuto e poi si era suicidato, stava a pochi passi dal punto di corso Re Umberto, dove aveva perso la vita il famoso giocatore del “Torino”, Gigi Meroni, investito da un’autovettura che correva lungo quel corso.
   Recentemente, nella tarda serata di lunedì e sulla rete TV di RAI 3, mi è capitato di vedere qualche puntata della trasmissione “L’approdo” di Gad Lerner. Il titolo mi ha riportato indietro nel tempo, addirittura alla omonima trasmissione culturale radiofonica, che veniva presentata come settimanale di lettere e arti, curato da G.B. Angioletti; trasmissione che io ascoltavo con interesse e diletto nel tempo della mia giovinezza, quando conoscevo il nome di un Levi ebreo torinese; era il medico e pittore Carlo Levi, celebrato autore del famoso libro Cristo si è fermato a Eboli, ma allora il nome di Primo Levi mi era completamente sconosciuto.
In questa recentissima serie televisiva, Gad Lerner chiudeva ogni puntata declamando gli undici versi della sopra menzionata poesia di Primo Levi, che qui di seguito mi piace riportare integralmente, traendola dalla edizione di tutte le opere di P. Levi, curata da Marco Belpoliti per la Biblioteca di “Repubblica”:
 

APPRODO

Felice l’uomo che ha raggiunto il porto
Che lascia dietro sé mari e tempeste
I cui sogni sono morti o mai nati;
E siede e beve all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.

10 settembre 1964



Torino al tramonto 
Per P. Levi il luogo di approdo di questa sua composizione poetica era stato il porto fluviale di Brema, la famosa città anseatica tedesca, seconda soltanto ad Amburgo per il volume di traffici navali. Per me invece, mentre ascoltavo la voce di Lerner, il luogo di approdo dei miei personali ricordi e pensieri, tutto ad un tratto è diventato Torino, e più precisamente il piccolo mondo della “Torino israelitica” che ho potuto conoscere al tempo della mia permanenza a Torino e in Piemonte.
Perciò qui di seguito mi piace ricordare i nominativi di alcuni ebrei che ho potuto incontrare, conoscere o frequentare nel periodo di studi universitari, o negli anni di insegnamento in istituti per geometri, ovvero nel corso della mia attività professionale di ingegnere a Torino e in Piemonte. Li scrivo senza seguire un ordine preciso, così come man mano affiorano nella mia mente.

   Ricordo per primo il prof. Giorgio SEGRE, che era fiero delle sue origini a Cherasco (CN), terra di chiocciole e del nobile Barolo; figlio di una delle piccole ma attivissime comunità israelitiche presenti da secoli in piccoli centri del Piemonte meridionale. Nelle conversazioni amichevoli e conviviali il professore agronomo amava spesso inserire vocaboli ed espressioni del vernacolo piemontese. Ho conosciuto G. Segre come collega professore dell’Istituto tecnico per geometri “C. e A. di Castellamonte” a Torino. Oltre ad essere autorevole docente di Estimo e discipline agrarie, il prof. Segre pubblicava sul giornale “La Stampa” una rubrica settimanale di agricoltura. Segre mi ha guidato a scoprire la bellezza di alcuni territori dell’Europa verde, come le vigne e le cantine portoghesi del “Porto”, o la “Valle delle rose” in Bulgaria, o i segreti dell’allevamento delle lumache, essendo egli un appassionato collezionista ed esperto malacologo. Se l’intuito non mi trasse in inganno, il prof. Segre doveva appartenere all’ala “liberale” dell’ebraismo piemontese; un liberalismo di stampo sabaudo e cavouriano, che aveva come autorevole esponente l’ebreo Luciano Jona, allora Presidente dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino.    
   Sono particolarmente grato al compianto prof. Segre per avermi fatto conoscere l’ebreo monferrino, Signor RABEZZANA, uno dei migliori produttori del vino Grignolino, nonché titolare della più antica enoteca torinese, aperta in via San Francesco d’Assisi, di fianco alla vecchia sede dell’Istituto “Castellamonte”.
Superato il portone d’ingresso, i clienti si trovavano di fronte ai loro occhi un negozio di dimensioni modeste; ma per vedere il tesoro, il vero scrigno dell’enoteca si doveva scendere con una scala a chiocciola alla cantina interrata, dove si trovavano migliaia di cassette, di cartoni, di botticelle e contenitori vari; un magazzino immenso, dalle dimensioni inimmaginabili rispetto allo spazio esiguo del negozio soprastante; era come la stiva di un enorme bastimento, stracolma di vini pregiati. Rabezzana è stato il primo a farmi conoscere e ad apprezzare i vini prodotti rispettando le norme kosher.
   Prima di Segre avevo conosciuto una giovane donna, Marina PORTALEONE, segretaria impiegata nello studio associato legale-commerciale del mio compianto cognato, avv. Antonio Pellegrino. La famiglia Portaleone apparteneva ad una di quelle minuscole comunità israelitiche disseminate nella pianura padana, nelle terre dei Gonzaga, duchi di Mantova e poi anche marchesi del Monferrato. In occasione della tristissima morte dell’avvocato Pellegrino, deceduto per infarto cardiaco mentre trattava una causa in Pretura, la Portaleone volle onorare il defunto immaturamente scomparso con un gesto familiare a molti ebrei, ossia facendo piantare nella terra d’Israele alcune pianticelle d’ulivo in memoria dell’amico defunto.
   Ho conosciuto Gianfranco DE PAS studiando al Politecnico di Torino.  Risultando molto vicini (Davoli – De Pas) nell’elenco alfabetico degli iscritti al corso di Ingegneria Civile, spesso ci siamo trovati fianco a fianco nell’aula tecnigrafi a sostenere le prove grafiche di Architettura Tecnica I e II, quei lunghi ed estenuanti esami preliminari, denominati eufemisticamente “ex.tempore” dal chiarissimo professore A. Cavallari Murat. Poi al quinto ed ultimo anno di Ingegneria Civile, io con Gianfranco ed un altro collega di Lecce, abbiamo redatto come principale esercitazione del corso di Urbanistica, uno schema di Piano Regolatore Comunale, con annesso Piano di lottizzazione, per Chiesanuova (provincia di Torino), piccolo Comune del Canavese.
Per portare a termine l’impegnativo lavoro, noi tre studenti talvolta ci siamo incontrati anche in casa De Pas.
La Signora De Pas, madre di Gianfranco, gestiva a Torino, nella centralissima via Roma, una delle più raffi-nate boutiques di intimo femminile. Gianfranco mi raccontava che i nonni erano di Livorno; ma i suoi remoti antenati erano ebrei portoghesi, che quando furono espulsi dal loro Paese, trovarono rifugio nella città portuale di Livorno. Il cognome “De Pas”, di chiare origini iberiche, si potrebbe tradurre nell’italiano “De Pace”.
Casa De Pas è stata la prima dimora “ebraica” che io ho veduto; era un appartamento in un piccolo condominio, accuratamente arredato e decorato con i tipici simboli e contrassegni della religione israelitica (Menorah, Stella di David, lucerne, mani aperte, cartigli con scritte in caratteri ebraici …). 
In base alle origini familiari Gian-franco sarebbe dovuto essere un ebreo di rito sefardita; in realtà egli era assolutamente laico e simpatizzava apertamente per i movimenti dell’estrema sinistra.
Dopo la laurea Gianfranco De Pas si è dedicato principalmente all’insegnamento di Topografia e sporadicamente alla professione di Ingegnere.  Ogni tanto mi veniva a salutare nello studio tecnico associato che io gestivo a Pinerolo insieme ai fratelli Piarulli, ing. Edoardo e ing. Emilio; talvolta mi diceva che era venuto a Pinerolo a visitare certi contadini di una cascina della vicina campagna; contadini che erano molto legati alla sua famiglia. Gianfranco non mi ha detto mai il cognome di questi amici contadini, né su quali elementi si fondasse il legame tra la sua famiglia e quei contadini del Pinerolese. Pur non avendo nessuna prova, mi sembra bello immaginare che i De Pas, con il piccolo Gianfranco nato proprio nel periodo incandescente della II guerra mondiale, per sfuggire al pericolo di essere denunciati come ebrei, dai tanti delatori prezzolati che s’aggiravano nelle città, abbiano trovato rifugio presso la famiglia contadina di quella cascina pinerolese.
   Negli anni in cui ho insegnato Topografia nel corso serale dell’Istituto per geometri “Castellamonte” di Torino ho conosciuto altri due ebrei; uno studente lavoratore e una professoressa. Dello studente ricordo solamente il cognome: ANCONA. Avendo diversi anni in più di me, aveva la chioma un po’ brizzolata. La sua parlata schietta e simpatica lo rivelava chiaramente come originario di Roma. Ricordo che Ancona era impiegato nelle Ferrovie dello Stato; era sposato, abitava in una palazzina per ferrovieri, ed aveva prole. Lo ricordo, con rispetto e simpatia, perché frequentava il corso serale con l’intento di conseguire il diploma di Geometra; titolo che gli avrebbe consentito di trovare una sistemazione migliore nel suo lavoro in Ferrovia.
   Quando insegnavo al corso B serale del “Castellamonte”, era preside di quell’Istituto tecnico statale la prof.ssa Olga Deaglio Rivarono, ben conosciuta a Torino anche come madre del professor Mario Deaglio  (famoso docente alla Facoltà di Economia e Commercio) e di Enrico Deaglio, noto scrittore e giornalista. Due autentiche “colonne” del “Castellamonte” erano in quegli anni i professori Gualberto Porciani ed Elena Vita Finzi, apprezzati coautori di alcuni libri di Estimo e discipline agrarie, spesso adottati da vari Istituti tecnici per Geometri o per Periti Agrari. Per conto mio conoscevo già il toscano prof. Porciani, il quale a sua volta mi fece conoscere l’illustre collega, insieme alla quale aveva scritto quei pregevoli testi scolastici. Come ben si evince dal suo cognome la professoressa Elena VITA FINZI OTTOLENGHI era uno dei membri più illustri della comunità israelitica torinese; da ragazzina era stata colpita dalle leggi di discriminazione razziale (1938) emanate dal governo fascista. Sposata con l’ebreo Emilio Ottolenghi, nelle copertine dei suoi libri veniva sempre indicata con i tre cognomi, i due da signorina (Vita Finzi) e quello del marito (Ottolenghi).
   Desidero infine ricordare l’architetto David TERRACINI di Torino, parente del famoso senatore comunista Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente, la Camera che elaborò e preparò la Costituzione della Repubblica italiana. David si era laureato in Architettura a Torino, alla scuola del prof. Astengo, uomo politico socialista e padre della prima Legge urbanistica regionale del Piemonte. Ho conosciuto David Terracini a Pinerolo, dove era aperto il mio studio tecnico insieme ai fratelli ingegneri Edoardo ed Emilio Piarulli; a Pinerolo svolgevamo la maggior parte del nostro lavoro professionale. L’arch. Terracini si trasferì da Torino a Pinerolo, quando divenne Dirigente Capo della Ripartizione Urbanistica della Città. Io e i fratelli Piarulli avevamo con l’arch. David frequenti incontri connessi alla nostra professione di ingegneri molto attivi nel comprensorio di Pinerolo. Soprattutto nel periodo iniziale del suo servizio a Pinerolo e prima che egli si sposasse (con una professoressa genovese, anch’ella israelita) e si sistemasse nella città della Cavalleria, con David abbiamo condiviso tante volte il pranzo di mezzodì, sedendo allo stesso tavolo nella pittoresca trattoria “Primavera”, e discorrendo amabilmente degli argomenti più disparati (politica, urbanistica, scuola, cinema, teatro, belle arti, attualità ecc.). 
Ricordo con grande simpatia David Terracini e con un pizzico di nostalgia quel periodo della mia vita.
                                                                                                                         VINCENZO DAVOLI

ANNO 2019

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Testo © dell'ING. 
VINCENZO DAVOLI 
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