giovedì 17 agosto 2023

La Challah חלה al plurale Challot - Il pane ebraico

 


“Parla ai figli d’Israele.
Dirai loro:
Quando voi sarete entrati nel paese,
 dove io sto conducendovi
e mangerete del pane del paese,
ne sottrarrete un’offerta al Signore”.
(Num. 15, 18-19)



חלה 


al plurale Challot - Il pane ebraico 


Le Challot , pani intrecciati del Sabato, sono posti in coppia sulla mensa di Sahabbat . 

Ingredienti  per due pani grandi

1 kg di farina bianca
400 ml di acqua tiepida
15 gr di lievito secco o 40 gr  di lievito fresco
100 gr di zucchero  integrale
4 cucchiai di olio di oliva
20 gr di sale 

Per guarnire : 
2 uova
q.b. di semi di sesamo 
q.b. di semi di papavero

Preparazione

Sciogliere il lievito in una ciotola con l'acqua tiepida. 
- Mescolare il resto degli ingredienti liquidi con lo zucchero. 
- Setacciare la farina sul piano di lavoro, unirvi il sale e iniziare a impastare unendo il composto liquido poco alla volta. 
- Impastare a lungo e con energia fino a ottenere un composto compatto, poi iniziare a stendere e a ripiegare l'impasto più volte, spingendo il panetto di pasta sul piano infarinato, piegandolo su se stesso e facendogli fare un quarto di giro. Ripetere l'operazione più volte per alcuni minuti. 
-  Formare una palla e trasferirla in una ciotola infarinata, coprirla con un telo e lasciarla riposare in forno caldo ma spento a 45° per circa 40 minuti o comunque finché l’impasto avrà raddoppiato il suo volume.
- Suddividere l’impasto in tante palline quante sono le parti scelte per la treccia, raddoppiate. 
- Appiattire le palline con il matterello, una alla volta, arrotolare l’impasto su se stesso, quindi modellarlo in un bastoncino. (Prelevare una pallina, quanto un'oliva, per bruciarla, se avete raddoppiato le dosi)  

- Intrecciare le 2 Challot 




- disporle su una teglia rivestita con carta da forno. 

- Lasciare lievitare le trecce nel forno caldo per altri 20 minuti, o fino a quando non saranno di nuovo circa raddoppiate. 
- Prelevare le pagnotte dal forno e lasciarle in un luogo privo di correnti d’aria. 

- Mescolare l’uovo per la guarnizione in una ciotola con 1 cucchiaio di acqua e un pizzico di sale, poi spennellare le challot con il composto.

- Cospargere le pagnotte con i semi.

- Cuocerle nel forno già caldo a 220° per circa 25 minuti, o comunque finché sono dorate, cambiando la posizione delle trecce nel forno dopo i primi 15 minuti. 

- Togliere le Challot dal forno e lasciarle raffreddare completamente su una griglia.


La Challah è sempre preparata il venerdì per essere consumata di Shabbat, ma anche in occasione delle feste sacre, escluse le feste pasquali. In queste occasioni, a tavola sono portate sempre due Challah coperte da un telo bianco, come ricordo della doppia razione di manna che cadeva dal cielo il venerdì alla vigilia del sabato e delle feste; manna ricoperta dalla rugiada mattutina, che Dio elargì agli ebrei bloccati per quarant’anni nel deserto.

Originariamente, e fin quando fu possibile, da questo pane era prelevata la decima che veniva offerta al sacerdote. Oggi che non c’è più il Tempio, si preleva comunque un pezzetto dell’impasto che viene messo da parte, non consumato e bruciato in forno.

La challah è a forma di treccia, pane bianco e soffice di gusto leggermente dolce, è una delle componenti essenziali del pasto di sabato. La preparazione di questo pane e il prelevamento dell’offerta dall’impasto, sono esclusiva incombenza femminile.

Analizzando i termini così come compaiono nella Bibbia, la parola Challah in origine si sarebbe allo spessore della preparazione, tipico degli impasti speciali, da cucinare con più attenzione rispetto ai comuni pani piatti cotti su pietre o piastre roventi. Al tempo stesso, nel Libro dei Numeri (15: 18-20) si legge che Challah era la porzione di pane da offrire ai sacerdoti, i kohanim. Tale offerta, obbligatoria nella terra di Israele, consisteva in un ventiquattresimo del composto totale.

Con la distruzione del Tempio del 70 d.C. i kohanim non avrebbero più avuto un luogo dove officiare, ma perché l’obbligo non fosse dimenticato, i rabbini imposero che una parte dall’impasto fosse comunque prelevato dal totale e ne fosse proibito il consumo, andandola a bruciare sul fuoco o nel forno.

Secondo la regola, valida ancora oggi, non da tutti i pani andava tolta una parte, ma solo da quelli preparati con una quantità sufficientemente elevata di farina, stabilita intorno al chilogrammo di peso. La parte di tributo, dalle dimensioni minime di un’oliva, andava prelevata dalle donne addette alla panificazione e buttata sul fuoco o nel forno con una benedizione.

Parte integrante della tradizione religiosa, anche se con altri nomi e altre forme, il pane è sempre stato protagonista della tavola ebraica; ancor di più con la distruzione del Tempio, infatti, questa, si è trasformata in un santuario in miniatura e le offerte a Dio si sono trasferite nell’ambiente domestico. 

Pertanto si può considerare che i pani del Sabato rappresentano  i dodici pani piatti e rotondi esposti al Tempio e indicati come pani di presentazione.

Nei tempi antichi diversi gruppi religiosi continuarono a preparare una dozzina di piccole pagnotte anche a casa, ma in seguito, dall’Alto Medioevo, i pani casalinghi si ridussero al numero di due, a simboleggiare la doppia razione di manna inviata il venerdì da Dio agli israeliti nel deserto. Questi pani, tagliati tradizionalmente con un coltello presso gli Ashkenaziti e spezzati con le mani dai Sefarditi, che per tradizione considerano la lama, simbolo di violenza, poco adatta a un altare, una volta porzionati vanno poi intinti nel sale, come faceva il Sacerdote nell’offrire i sacrifici al Tempio di Gerusalemme. Tornando alla Torah e nello specifico al Libro dell’Esodo, i quarant’anni nel deserto spiegherebbero anche il telo ricamato con cui si è soliti ricoprire i pani posti sulla tavola, visto che rappresenterebbe gli strati di rugiada che proteggevano il doppio dono divino.

Per la preparazione si usa la farina bianca, questo per onorare la festa, infatti, questo ingrediente caratterizzava gli impasti destinati alle classi più alte, e quindi più adatto alle celebrazioni, come ci insegna la storia.

Dall’alto Medioevo si usò anche l’aggiunta di ingredienti speciali, in particolare i semini spolverizzati sulla superficie delle pagnotte presso le comunità sefardite, mentre a ispirare la forma intrecciata furono  gli Ashkenaziti nel XV secolo, un’usanza di antiche tribù tedesche, riprese dagli ebrei che ne vivevano a stretto contatto. Oltretutto sembra che un aspetto particolare alle pagnotte, risultasse utile nella praticità, infatti, visto che al tempo si cuocevano i pani in un forno comunitario, una forma particolare data dal numero di fili della treccia o dalla sua forma più o meno allungata e/o arrotondata, permetteva un facile riconoscimento alle donne che l’avevano realizzata. La forma intrecciata, poi, risulta essere utile per mantenere il pane morbido più a lungo e cela sincretismi.

La forma di treccia  più comune, nonché la più semplice da realizzare, con tre strisce di pasta, simboleggerebbe così verità, giustizia e pace ma anche l’unità del popolo ebraico. Quella più complessa a quattro strisce sarebbe immagine dell’amore, rappresentando due coppie di braccia, mentre quella a sei, accostata alla sua gemella, richiamerebbe le dodici tribù di Israele, indicate insieme ai pani rituali del Tempio, simbolismo anche della Challah a dodici strisce. Se poi la treccia finisce con il congiungersi in un circolo, sarà perfetta per la festa di Rosh haShanah nel significare continuità, mentre la forma di scala e quella di mano sono l’ideale per Yom Kippur. Alle forme già elencate si possono aggiungere le Challot a forma di chiave per il primo Shabbat dopo Pesach, il rotolo della Torah per Simchat Torah e Shavuot, il pesce per Purim o la Challah a sei capi con un vav, la sesta lettera dell’alfabeto ebraico, in cima a ricostituire il numero dodici.

L’aggiunta agli ingredienti di olio e di uova all’impasto di farina bianca acqua e lievito, sarebbe legata a esigenze simboliche e a calcoli gastronomici. L’olio sarebbe un diretto riferimento a quello del Tempio, mentre le uova conferirebbero il colore dorato che richiama quello attribuito alla manna. Per quanto riguarda la nota dolce che caratterizza la Challah moderna, lo zucchero, altro richiamo al ricordo della manna, si sarebbe unito agli altri ingredienti solo nei primi anni dell’Ottocento, grazie alla diffusione degli impianti di raffinazione della barbabietola nell’Europa orientale.

L’aggiunta di semi, già visti nella tradizione sefardita, avrebbe una ragione simbolica anche in quella askenazita, nella lingua Yiddhish i semi di papavero si chiamano mohn, con una pronuncia molto simile al termine usato per la manna e secondo il commentatore francese medievale Rabbi Shlomo Itzhaki, conosciuto come Rashi, la manna avrebbe avuto un aspetto simile ai semi di sesamo; quindi, questi semi la guarnizione ideale per il pane della festa.

L’antico termine di Challah, individuato nella Torah, fu usato per la prima volta dal rabbino e  talmudista Israel Isserlein, lo stesso, avrebbe esteso il nome della porzione sacerdotale all’intero pane di Shabbat. L’uso del termine da parte del rabbino sarebbe attestato per la prima volta nel 1488 nella raccolta halakhica Leket Yosher del suo allievo Joseph ben Moses d’Austria.  Questo non bastò a rendere universale il termine nell’immediato, tanto che il nome arrivò anche nelle regioni più a Est dopo più di un secolo, dove i pani del sabato erano indicati con diversi e più generici termini. In seguito, il nome dei pani del sabato,  Challah,   si affermò sempre più in tutto il mondo, divenendo anche simbolo indiscutibile della cucina ebraica.



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 Contributo di: 

 
Vincenza Triolo 
Esperta in Storia e Conservazione di B. C. 
Studiosa e Ricercatrice
Conservatore dei Beni Arch. ed Ambientali
Tecnico del Rest. ed Architetto