venerdì 28 luglio 2023

STORIE DI EBREI IN LIBIA - “ Italiani brava gente - Naandin l’Inglis ”


Jewish School in Benghazi. 1944 (id.14331691) - dal web

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 “ Italiani brava gente - Naandin l’Inglis 



di Ariel Arbib

Tempo fa, un amico mi chiese se conoscessi il motivo per il quale tra gli ebrei tripolini, quando si parla dell’Inghilterra, ci sia la strana abitudine di dire “naandin l’Inglis” cioè, letteralmente “maledetti gli Inglesi”.

Davvero strano, verrebbe da dire, maledire proprio coloro che la Libia e Tripoli avevano liberate, mettendo al riparo i suoi ebrei da un destino terribile, che invece non risparmiò milioni di innocenti rastrellati in mezza Europa ed in Italia, poi sterminati per mano dei tedeschi con la complicità dei fascisti.

Ma andiamo per ordine.

Giado - Libia

Quelle assurde leggi razziali promulgate dall’Italia fascista nel ’38 del Novecento per emulare l’alleato nazista in difesa, dicevano, della “pura razza italica” e quelle ancora più restrittive emanate in seguito, il 9 Ottobre 1942, vennero scrupolosamente messe in pratica anche in Libia ai danni degli ebrei locali.
Gente mite e laboriosa, ora veniva drasticamente discriminata e limitata, grazie ad una sequela di ordinanze assurde, in ogni propria attività commerciale, sociale e religiosa, estromessa completamente dal lavoro negli Uffici statali e dalle Forze armate. Gente pacifica che nell’Italia fascista aveva ingenuamente creduto fin dalla prima ora e che entusiasticamente aveva accolto per ben due volte Mussolini a Tripoli. Nel suo secondo passaggio nel 1937, gli ebrei di Tripoli accolsero il Duce nel loro quartiere, la Hara, stendendo sul selciato al suo passaggio i loro tappeti migliori, dopo aver sparso fiori ed essenze profumate nell’aria. Era quella stessa gente che ora vedeva venir meno le parole pronunciate da Mussolini, che in quell’occasione aveva promesso di dar loro protezione e di preservarli da ogni sopruso, brandendo quella spada dell’Islam che aveva appena ricevuto. 
Ora però gli Ebrei libici, a meno di un anno da quel giorno, delusi e amareggiati, stavano perdendo ogni fiducia nell’Italia, nel suo Re e nei suoi governanti. Traditi, emarginati e vilipesi, proprio da quegli stessi “italiani brava gente”, con i quali avevano fiduciosamente convissuto e collaborato per anni e che ora mostravano il lato peggiore del loro voltafaccia. 
Non furono rari in quegli anni episodi di antisemitismo, di intolleranza e di repressione nei confronti di alcuni ebrei libici e ancora di più, dopo la promulgazione della “Legge del sabato” , voluta dal Governatore della Libia Italo Balbo, a metà degli anni ’30. Fustigazioni pubbliche, arresti, carcere ed inseguito, addirittura fucilazioni, fu quanto molti di loro dovettero patire.
Tra gli anni ‘40 e ’41 del Novecento, più che altro a Bengasi, gruppi di civili italiani, a più riprese si resero responsabili di saccheggi e danneggiamenti ai danni di negozi ebraici, come punizione e avvertimento dicevano, per l’appoggio dato dagli ebrei ai militari inglesi attestati sul confine orientale poco lontano da Tobruk.

Accuse pretestuose che, di lì a poco, diedero l’occasione ai militi italiani al comando del cinico e tristemente famoso Generale Rodolfo Graziani, di allestire, nel segreto più totale, un campo di concentramento, dove ammassare ebrei tra i ruderi di una vecchia caserma abbandonata a Giado, una località desertica a circa 180 km a nord-ovest di Tripoli. Questo inverosimile agglomerato di baracche di legno, nel bel mezzo di nulla, senza servizi igienici, con pochissima acqua e cibo a disposizione e circondato da reticolati di filo spinato, vero e proprio lager, divenne per molti Ebrei libici un indescrivibile inferno e per alcuni di loro la propria tomba.
Tra il maggio ed il giugno del 1942, poco meno di tremila ebrei, famiglie intere con donne, vecchi e tantissimi bambini, rastrellati quasi tutti tra le Comunità della Cirenaica, vennero rinchiusi a forza tra quei reticolati e fatti oggetto di sevizie e privazioni inenarrabili, nell’angosciosa attesa di un destino di cui non conoscevano l’epilogo ma che, nei piani dei loro aguzzini, prevedeva la deportazione nei ben più “efficienti” campi di sterminio nazisti. L’Italia fascista si ingraziava così l’attenzione dell’alleato tedesco mettendosi enfaticamente al suo pari livello ed a confronto sul piano del cinismo e della crudeltà.



Gli Inglesi entrano a Tripoli  
immagine storica dal web
 

Il progetto Giado, per fortuna fallì miracolosamente grazie alla disfatta subita dalle truppe dell’Asse a Tobruk per mano dei soldati inglesi al comando del Generale Montgomery. Sfondate le linee nemiche, questi procedettero rapidamente arrivando da Est a Tripoli all’alba del 23 Gennaio 1943. 
Pochi giorni dopo, anche per quell’inferno che era stato Giado arrivò la liberazione definitiva e, per quei suoi disgraziati superstiti, oramai allo stremo delle forze, abbandonati vigliaccamente al proprio destino dagli italiani in fuga, finì un incubo. 



Prigionieri italiani a Tobruk
immagine storica dal web
 



Purtroppo, per molti di loro il dramma si era già consumato. Più di seicento erano già periti in pochi mesi tra quelle dune infuocate, uccisi come mosche dalla fame, dalla mancanza totale di igiene, dal tifo e dalla dissenteria ed ancor di più dalle sadiche umiliazioni, dalle angherie e dai maltrattamenti quotidiani che avevano dovuto subire per mano dei loro aguzzini in divisa militare italiana.


Ma torniamo agli Inglesi.


Con una velocissima avanzata, l’VIII Armata del Gen. Montgomery entrò, come già detto, a Tripoli all’alba di un sabato, il 23 Gennaio 1943, provocando un disordinato fuggi fuggi tra le milizie italiane e tedesche dislocate in città. La gioia e l’euforia si impadronì presto di tutta la popolazione ebraica che comprese immediatamente che il tempo delle amarezze si stava concludendo e che presto si sarebbe riappropriata della dignità e delle libertà che le erano state tolte e negate dal fascismo per quelle sue vergognose leggi antisemite.



L’entusiasmo montò alle stelle quando, su alcune di quelle divise color kaki, che ora sfilando vittoriose per le strade di Tripoli, si notarono alcune mostrine con il simbolo ebraico della stella di David su campo bianco-azzurro cucite selle maniche.

Erano i ragazzi della Brigata Ebraica, i soldati della futura Haganà, embrione del futuro esercito d’Israele, arrivati al seguito delle truppe inglesi e composta da giovani volontari ebrei arruolati nella Palestina mandataria britannica, ora determinati e motivati a liberare dal nazifascismo l’Europa sotto la bandiera inglese.

Ripreso il controllo del Paese, caduto per via della guerra in una profonda crisi economica, gli Inglesi tentarono di riorganizzare la vita ed i commerci anche a Tripoli. Tutte le attività, comprese quelle di carattere ebraico, Sinagoghe, Circoli ricreativi, culturali e sportivi, chiuse a forza o proibite dai fascisti fin dal 1938, venivano ora immediatamente riaperte, riprendendo con nuovo ottimismo le proprie iniziative. Ciò fu possibile anche grazie all’interessamento ed all’aiuto sincero e concreto dei ragazzi della Brigata Ebraica e dei loro Comandanti, di uno soprattutto, il Maggiore Arkin.

Insomma, mentre tutto sembrava andare per il meglio ed un futuro roseo si andava finalmente delineando, qualcosa di insospettabile iniziava a covare sotto la cenere all’insaputa di tutti…o quasi tutti.

Con la fine del secondo conflitto mondiale, gli Inglesi mandatari non solo in Palestina, ma anche di buona parte dell’Africa e del Medio Oriente, avevano necessità ed interesse a mantenere lo status quo, imponendosi come arbitri e mediatori essenziali ed indiscutibili tra le diverse etnie, razze e religioni presenti di quei territori.

Ricorrendo spesso alle leggi marziali, mediavano ogni situazione con la tecnica del “divide et impera”, utile strumento per mantenere il più a lungo possibile quel loro mandato ricevuto dalle Nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale agli inizi del Secolo scorso.

In effetti, tra il 1940 ed i primi mesi del 1948,mentre flussi migratori ebraici arrivavano in Palestina da più parti del mondo, arabi ed ebrei molto male armati, si contendevano militarmente ogni palmo di quella terra sotto gli occhi degli inglesi i quali, praticando una politica a dir poco ipocrita, favorivano una volta l’uno e una volta l’altro, alimentando volutamente inevitabili attriti e frizioni tra le due fazioni in lotta.

Strategia cinica e sottile, che in qualche modo permetteva agli occupanti inglesi, con una certa efficacia e senza alcun contraddittorio, di mantenere militarmente il controllo della situazione e continuare così a svolgere i propri interessi in quelle aree. Per altro, davanti ad una situazione turbolenta ed esplosiva, potevano facilmente dimostrare alle nazioni alleate la necessità di dover tenere a bada e frapposti tra i due gruppi contendenti.

Questa stessa tecnica già ben collaudata, verrà ancora adottata e reiterata dagli Inglesi, anche in altri Paesi, lì dove il Governo britannico aveva comunque interesse a mantenere la propria presenza e la propria egemonia.

 

Libia-Tripoli 1945

A Tripoli, prima di questa data, non c’erano mai stati seri problemi di convivenza tra la popolazione araba e quella ebraica al contrario in passato, anche durante il lungo dominio ottomano, avevano spesso condiviso gli stessi destini, vivendo in simbiosi con tolleranza, rispetto reciproco e simili usanze, fatte salve forse, alcune sporadiche baruffe da strada tra ragazzi delle due opposte religioni. Ora però gli Inglesi occupanti, avevano necessità di dimostrare il contrario.

Per riflesso di ciò che stava accadendo in Palestina e dopo precisi accordi segreti coni capi delle kabile arabe libiche, gli Inglesi riuscirono a convincere queste ultime che agli ebrei si poteva dare una sonora lezione ed i motivi non fu difficile trovarli. False voci, diffuse ad arte, parlavano di assalti alle Moschee di Gerusalemme e addirittura dell’omicidio del gran Muftì e del Kadi, di quella città. Tutto quanto bastò a far accendere gli animi e favorire il gioco sporco degli inglesi.

Lasciati pertanto liberi di sciamare per le strade di Tripoli e di razziare a loro piacimento , nel tardo pomeriggio del 4 Novembre del 1945, con la totale complicità del Comando militare, gli arabi della Libia ad un preciso segnale iniziarono la mattanza scagliandosi con ferocia, per tre giorni e tre notti, contro i quartieri ebraici di Tripoli e Bengasi, senza tralasciare  di  rivolgere la loro furia omicida  contro i piccoli villaggi isolati come quelli di Amrus (Suk el Giuma), Sliten, Homs, Misurata, Msellata, Tajiura, Zavia, Zanzur e molti altri, lì dove comunque la popolazione ebraica meno numerosa era certamente più indifesa. Dove viveva un ebreo, lì ci furono saccheggi, incendi e vittime. Ma soffermiamoci per la Storia su quanto accaduto a Zanzur.


Zanzur-1945

A pochi chilometri da Tripoli avvenne un episodio, forse tra i più odiosi e raccapriccianti, consumato ai danni di alcuni membri della piccola Comunità ebraica di Zanzur, all’epoca composta da non più di una sessantina di persone. Il giorno dopo l’inizio dei disordini a Tripoli e precisamente il pomeriggio del 6 Novembre, gli uomini di una pattuglia formata da tre poliziotti arabi al servizio degli inglesi, durante il loro consueto giro d’ispezione nel quartiere ebraico, avevano raccomandato agli ebrei di non uscire in strada ma di barricarsi in casa, poiché dicevano di essere a conoscenza che qualcosa di pericoloso stava per accadere nel loro quartiere. Mentre la pattuglia si ritirava al sicuro nella vicina caserma, intimoriti e impauriti, i vari capi famiglia di quella piccolissima Comunità, stabilirono velocemente di riunire in tre diverse case altrettanti gruppi familiari, composti da venti persone ciascuno, immaginando così di poter meglio difendersi ed affrontare il pericolo incombente.

Furono scelte così le case di tale  Guetta, il capo quartiere, quella di Juseph Hacmun, Capo Rabbino e quella di Hammus Barda, Gabbai (responsabile) della Sinagoga locale.

Le tre case erano distanti tra loro solo poche decine di metri, l

a prima situata nel quartiere ebraico, confinante con quello arabo, la seconda di fianco alla Sinagoga e la terza di fronte alla caserma della Polizia inglese.

Mentre i tre gruppi si barricavano ciascuno all’interno di esse, due bombe a mano furono lanciate e fatte esplodere fragorosamente nell’atrio aperto della casa dei Guetta.

Terrorizzati, due dei componenti di tale nucleo, il giovane Elihau Guetta di 22 anni e suo nipote Fragi di 15, decisero di tentare, salendo e camminando sui tetti bassi delle case, di raggiungere la vicina caserma inglese per poter chiedere il loro intervento ed il loro aiuto. Una volta calatisi davanti al portone della caserma, bussarono ripetutamente con forza finché, dopo alcuni interminabili minuti, l’ispettore capo in persona non venne ad aprirgli. Gesticolando animatamente, riuscirono comunque a farsi capire e da segnalare l’accaduto, raccontando delle due bombe esplose e del pericolo che stavano correndo le diciotto persone rimaste sole e barricate in un’unica stanza, assieme a vecchi, bambini e due donne in avanzato stato di gravidanza.

Impassibile e senza replicare, l’ispettore inglese li lasciò entrare in caserma per poi farli inaspettatamente rinchiudere in una cella di sicurezza per l’intera notte. A nulla valsero le proteste dei due che, solo il pomeriggio del giorno dopo, 7 Novembre, furono lasciati liberi di uscire. Ciò che si presentò ai loro occhi una volta tornati a quello che restava della propria casa, fu raccapricciante. La stanza nella quale quei poveretti si erano barricati, ora era solo un cumulo di macerie fumanti ed i corpi di quelle diciotto disgraziate vittime innocenti bruciate vive, erano praticamente irriconoscibili. I loro miseri resti, amorevolmente ricomposti dai loro confratelli, furono nei giorni seguenti tumulati in una fossa comune del Cimitero di Tripoli.

La responsabilità degli Inglesi, mai chiamati a rispondere di tale ignobile crimine, fu totale e assoluta. Se solo avessero voluto, dopo l’allarme dato dai due componenti della famiglia Guetta, avrebbero potuto scongiurare quel dramma, dando rifugio nelle ampie stanze della caserma a tutti e sessanta i componenti di quella piccola Comunità. Ma questo era contrario ai loro piani scellerati, che necessitavano invece il più possibile di sangue, morti e devastazione.

 

Tripoli-Moraoth del 1945

Al grido di “edbah l’yhùd” “sgozza l’ebreo”, la sera del 4 Novembre 1945, sciami impazziti di arabi armati di coltellacci, mazze e bastoni, si avventarono sulle case, sulle botteghe e sulle numerose Sinagoghe della città di Tripoli, depredando e bruciando ciò che non si poteva portar via. Chi veniva colto da solo in strada, veniva inseguito, malmenato ed il più delle volte barbaramente massacrato.

Questa canizza di vigliacchi assassini e famelici predatori, rivolse la propria attenzione soprattutto verso le abitazioni, le Sinagoghe ed i negozi degli ebrei situati sia all’esterno che dentro la Hara, il quartiere ebraico più densamente popolato. Nei giorni precedenti, con assoluta premeditazione, mani anonime avevano già contrassegnato gli ingressi di quei luoghi per facilitare il successivo lavoro sporco degli assalitori.

La Hara era un quartiere composto da case basse, attaccate l’una all’altra e strette in un dedalo di vicoli angusti attraversate dal Suk, il mercato, strutturalmente quindi più protetto, per altro circoscritto da mura e per un lato dal mare. Una sorta di fortino inespugnabile decisamente più difendibile dai propri abitanti ebrei, confinante però con un altrettanto popoloso quartiere arabo col quale, mai prima di allora si erano manifestate rilevanti fatti di in temperanza. Quest’ultimo particolare, fu invece il motivo per il quale la Hara e molti dei suoi abitanti subirono la peggio in quanto a danni e numero di vittime.

Negozi, botteghe, case furono assaltati con impeto bestiale, depredati e dati poi alle fiamme, procurando danni ingenti a molte famiglie ebraiche ed al patrimonio stesso della città di Tripoli.

Quanti invece rimasero barricati nelle proprie case, spiavano con trepidazione attraverso gli scuri socchiusi delle finestre, lo scempio che si stava compiendo attorno a loro.

All’alba del 7 novembre, come probabilmente concordato e stabilito con il Comando inglese, gli assalitori arabi, come bestie sazie, cessarono le ostilità e per la Comunità ebraica iniziò il triste computo dei danni subiti e l’ingrata conta dei morti.





Immagini della devastazione
durante il pogrom del 1945 a Tripoli

Immagini storiche da archivio online


Centosessantasette morti ne furono ufficialmente contati a Tripoli e nei piccoli centri limitrofi (altre fonti parlano di 300/350 vittime), sgozzati, trucidati e massacrati selvaggiamente da un odio nuovo ed inspiegabile che, da allora, assieme al reciproco sospetto, divennero i mediatori dei rapporti tra arabi ed ebrei, modificandoli in peggio e per sempre.


Immagini terribili della devastazione
durante il pogrom del 1945 a Tripoli
Immagini storiche da archivio online

Tutto questo accadeva sotto gli occhi impassibili dei soldati inglesi occupanti e dei loro comandanti che non mossero un dito per impedirlo e che, paradosso della Storia, meno di due anni prima, avevano liberato la Libia ed i suoi ebrei dalle angherie e dai pregiudizi razziali dell’Italia fascista e riportato una ventata di libertà e di tranquillità o così almeno era sembrato.

Mentre da un lato avevano lasciato liberi gli arabi di agire a loro piacimento dall’altro, per quattro interminabili giorni, avevano voltatole spalle agli ebrei, ordinando ai propri militari di rimanere chiusi e consegnati in caserma per tutta la durata dei disordini. Ordine al quale, loro malgrado, dovettero sottostare anche i giovani ragazzi della Brigata ebraica, i quali mal sopportarono ciò che videro e che constatarono nei giorni seguenti. Quanto si presentò davanti ai loro occhi, li spinse, prima di lasciare la Libia per continuare la guerra in Italia, ad armare ed istruire segretamente gruppi di giovani ebrei di tripolini, all’arte dell’autodifesa e della guerriglia urbana, nel caso disgraziato che fatti analoghi si potessero ripresentare.


Israele- Maggio 1948

A meno di tre anni infatti e precisamente il 14 maggio del 1948, a dispetto del Governo mandatario inglese, fu proclamato lo Stato indipendente di Israele con l’approvazione e con voto di maggioranza delle Nazioni Unite. Le truppe britanniche, furono costrette, dopo trent’anni di mandato, ad abbandonare per sempre quei luoghi, lasciando dietro di sé il risultato della loro beffarda ed equivoca politica: due contendenti, a cui era stata promessa la medesima cosa, la nascita cioè di un proprio Stato indipendente a discapito dell’altro.

Tra i motivi che portarono i Comandi inglesi ad abbandonare il campo in Palestina ci fu anche l’attività clandestina di gruppi estremisti ebraici dell’Irgun e del Lehi, che non pochi attentati compirono ai loro danni tra questi, una bomba fatta esplodere il 22 Luglio 1946 nell’atrio del King David Hotel a Gerusalemme, sede del Comando militare inglese, ed un’altra nell’Ambasciata inglese a Roma il 31 Ottobre dello stesso anno.

Con buona probabilità, il risentimento ed il rancore covato dai militari britannici nei confronti di questi, ritenuti in parte responsabili della loro debacle, fu forse il motivo di quanto accadde un paio di anni prima a Tripoli.


Tripoli- Moraoth 1948

Ancor prima del giugno 1948, anno in cui fu proclamato il nuovo Stato d’Israele, il Governo inglese aveva impedito e proibito categoricamente ogni espatrio di ebrei dalla Libia anche se, nonostante il divieto, qualche migliaio di loro erano già riusciti clandestinamente a raggiungere la Terra d’Israele per vie traverse.

Determinati a mantenere il controllo e cercando ora un terreno comune col nazionalismo arabo, contrari quindi alla nascita dello Stato ebraico, gli Inglesi assecondano di fatto gli arabi e nel 1939 rendono pubblico il cosiddetto Libro Bianco, con il quale misero in atto una politica restrittiva all’immigrazione ebraica, impedendo di fatto ogni aumento demografico nel Paese con il respingimento militare di ogni attracco di navi nel porto di Haifa, navi sulle quali, sempre più spesso arrivavano a migliaia ebrei che cercavano scampo dallo sterminio nazista in Europa.

Nello stesso periodo, gli ebrei libici, memori di quanto era capitato loro dopo quel rovinoso novembre 1945,continuavano,in barba agli inglesi, ad organizzare espatri clandestini via mare e ad addestrarsi segretamente all’auto difesa, grazie anche all’aiuto di emissari ebrei palestinesi giunti nel frattempo segretamente in Libia. Questi li rifornironoin qualche caso anche di armi ed è in questa faseche ha un ruolo molto importante un personaggio arrivato clandestinamente a Tripoli e membro dell’Haganà, il nascente esercito israeliano, Israel Gur nome in codice “lo zio”.

Solo un mese dopo la proclamazione dello stato ebraico, analoghi disordini anti ebraici, scoppiati dapprima in Egitto, per infiammare poi tutto il medio oriente, arrivarono anche in Libia il 14 giugno di quell’anno. Ancora una volta, l’odio per gli ebrei, fomentato questa volta dal nazionalismo arabo ed il solito ipocrita atteggiamento inglese, fecero nuovamente la loro comparsa.

Saccheggi, incendi e tafferugli coinvolsero nuovamente la Tripoli ebraica, questa volta però gli ebrei erano decisamente più preparati ad affrontare gli assalitori. La terribile esperienza del pogrom (moraoth) del’45 e l’opera del “lo zio” assieme ad altri come lui, portarono gli ebrei di Tripoli ad una controffensiva, anche se sul terreno rimasero comunque quattordici di loro e molti di più tra gli arabi.

Nei mesi seguenti ed a seguito di questi ulteriori disordini, il Governo inglese, pressato da più parti, si riscattò parzialmente, autorizzando finalmente gli espatri degli ebrei della Libia in maniera “illimitata”. Solo il primo giorno, più di ottomila richieste di passaporto furono presentate agli uffici immigrazione di Tripoli.

Era l’Aprile del 1949, quando a quelle prime partenze ne seguirono tantissime altre nei due anni seguenti e fino al 1951. Più di trentamila lasciarono le loro case alla volta di Israele, per non farvi più ritorno, mentre solo qualche migliaio preferì rimanere, affidando il proprio destino, non più agli inglesi ma agli arabi libici che, nel 1952 videro proclamata la propria indipendenza. Ma questa è un’altra storia…

 

Bibliografia:

MEMORIE -  di Roberto Arbib;

Storia degli Ebrei di Libia - Yakov Haggiag-Liluf

 

Webgrafia Immagini storiche:
Ebrei libici - wikipedia; 
L'Italia Coloniale-La storia delle colonie italiane raccontata dai documenti;
Archivi storici online.

Autore 
Ariel Arbib



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